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Diritto all’oblio, Google e’ chiamata a riscrivere la storia

Una sentenza decretata dalla corte di Giustizia dell’Unione Europea sconvolge letteralmente il ruolo di Google nel web. In pratica, dato il compito che la compagnia svolge, ormai da anni, di diffusione delle informazioni (di qualsiasi genere) ai cittadini del mondo che desiderano connettersi al motore di ricerca, diventa, secondo la corte, anche responsabile per ogni sorta di trattamento delle informazioni immesse e disponibili sul motore stesso. In parole povere la compagnia statunitense sarà costretta a prendere in considerazione ogni singola richiesta pervenuta da parte di utenti web che chiederanno eventuali rimozioni di link, qualora tutto ciò si scontrasse con i diritti alla privacy. Ovviamente la sentenza non vale unicamente per Google, ma è da questo motore di ricerca (il più noto e adoperato al mondo) che tutto ha avuto inizio.

A sollevare il gran polverone è stato Mario Costeja Gonzalez, un utente spagnolo per nulla soddisfatto di quanto rivelato da Google dopo aver cerca il proprio nome su di esso. In pratica il signor Gonzalez è stato citato su di un sito, La Vanguardia, che conteneva all’interno un articolo facente riferimento a due annunci immobiliari riguardanti un’asta di beni pignorati. L’intera vicenda risaliva a ben 16 anni fa, ma Gonzalez non aveva affatto intenzione d’essere connesso a questa storia, almeno non così pubblicamente. L’uomo non si è mai scagliato contro la diffusione dell’informazione in sé, in riferimento all’asta, ma semplicemente all’inutilità della presenza dei suoi dati sensibili. Qualcosa di molto scomodo per lui ma del tutto ininfluente ai fini dell’annuncio. Il primo passo dell’uomo è stato quello di rivolgersi all’AEPD, ovvero l’authority responsabile per la tutela della privacy dei cittadini spagnoli. La sua richiesta era molto semplice, ovvero la rimozione degli annunci, che ad oggi avevano una rilevanza pari a zero, essendo trascorsi 16 anni dai fatti accaduti. Inoltre chiedeva a Google di agire attraverso la propria compagnia iberica, così da rimuovere ogni riferimento alla sua persona.

L’AEPD risponde in maniera negativa alla richiesta, sostenendo che l’uomo non avesse diritto di imporre al sito in questione la rimozione di qualunque pagina contenesse il suo nome, dal momento che gli annunci in questione erano da considerarsi di pubblica utilità. Ad ogni modo è stata accettata la richiesta di rendere in pratica irraggiungibile il proprio nominativo. L’AEPD sosteneva che Google dovesse intervenire, essendo questa materia di sua competenza. Infatti l’agenzia per la privacy spagnola riteneva che i motori di ricerca fossero da considerarsi come una sorta di intermediari tra l’utenza e i siti che caricano materiale online. Come prevedibile Google ha presentato delle istante atte a dimostrare l’esatto contrario, ritenendo impossibile controllare attentamente ogni singolo sito presente in rete. La compagnia si è così rivolta all’Audiencia Nacional, considerano il proprio ruolo come quello di un intermediario del tutto neutrale, che diffonde ogni informazione facendo ricadere eventuali responsabilità legali sull’utente che ha deciso di gettare in pasto determinati elementi alla rete.

Si è così finiti a parlare di diritto all’oblio, una nuova e interessante branca legale che prende forma in seguito allo sviluppo tecnologico globale. Data la novità della materia è ovvio che molti aspetti della stessa debbano essere ancora strutturati o limati, e da qui deriva la conseguente complessità della vicenda legale creatasi. Ad ogni modo gli utenti non hanno perso tempo, e in seguito alla sentenza in loro favore si sono scagliati contro Google con numerose richieste di cancellazione, alle quali la compagnia dovrà prestare massima attenzione. Soltanto l’AED, e dunque unicamente in Spagna, negli scorsi giorni sono state inoltrate ben 220 ricorsi, destinati di certo ad aumentare. Tutti erano simili a quelli di Gonzalez, e sia per l’AEPD che per l’Audiencia Nacional, il compito era divenuto fin trppo gravoso. Ci si è rivolti così ala Corte di Giustizia, che avrebbe dovuto decidere in merito, proponendo un parere sul procedimento da adottare in casi del genere, volgendo lo sguardo a future e più complesse controversie.

Il primo passo è stato quello di decretare se un qualunque motore di ricerca potesse ritenersi responsabile in merito alla rivelazione di informazioni di qualsiasi sorta da parte di un cittadino, che coinvolgesse una seconda o terza persona. La difesa di Google si è basata quasi interamente sul fatto di analizzare qualsiasi informazione circolante attraverso i propri circuiti grazie a siti esterni alla propria compagnia, senza prestare la minima attenzione alle pubblicazioni in termini oggettivi. Soprattutto però a far notizia è una sentenza dell’avvocato generale della Corte di Giustizia, il quale soltanto lo scorso anno aveva esonerato Google da ogni responsabilità in tal senso, dal momento che la compagnia era semplicemente un intermediario privo di filtri, il cui unico compito era quello di diffondere ogni informazione, rilevante o meno, personale o di dominio pubblico, senza alcuna discriminazione. Ad ogni invece la sentenza recentemente diramata fa della compagnia, e di tutte quelle che operano alla stessa maniera, un vero e proprio editore, seppur con delle caratteristiche a dir poco differenti rispetto a quanto siamo abituati a vedere. In pratica ogni utente che navighi in rete deve essere considerato come una sorta di giornalista, libero però di pubblica ogni cosa. In un secondo momento però l’editore ha il compito, previa multa salata, di controllare tutto ciò e procedere a eventuali correzioni, anche drastiche, come l’eliminazione.

La Corte di Giustizia, nell’esprimere il proprio parere, si è rifatta a una precisa direttiva (95/46/CE), inerente la protezione dei dati degli utenti. In tale direttiva è possibile leggere una descrizione del trattamento dei dati come di un’operazione di raccolta, organizzazione e in generale gestione delle informazioni, che sia esso attuato attraverso mezzi automatico o meno. In pratica una decisione del tutto aderente a quelli che sono i ruoli di un editore.

Inoltre un motore di ricerca ha anche il pregio di strutturale le informazioni, creando schemi connessi tra loro che offrono agli utenti maggior numero di informazioni connesse alle parole chiave immesse. In questo senso viene quasi del tutto a cadere la giustificazione di Google, che riteneva il proprio lavoro privo di qualsiasi soggettività. Infatti, seppur tale lavoro viene svolto attraverso delle macchine, è innegabile che ci sia un compito che, ad occhio umano, può apparire come quello di una redazione, che crea continui collage d’informazioni per un pubblico globale. Per questa ragione è del tutto impossibile offrire ai motori di ricerca una scappatoia legale in tal senso, consentendo loro di evadere da quel quadro normativo che limita i comportamenti di tutto coloro, singole persone, agenzie o compagnie, che operano con i dati personali.

A questo punto Google ha provato nuovamente ad addossare le eventuali colpe ai gestori dei siti, ma la cosa è impossibile, dal momento che alcuni siti potrebbero avere il diritto di diffondere alcune informazioni per scopi giornalistici, ma soprattutto non è affatto scontato che ogni sito preso in considerazione debba sottostare alle norme imposte dall’Unione Europea. Google infatti opera su scala mondiale e questo fa in modo che molti dei suoi utenti non siano residenti in Europa. Detto questo, al fine anche di semplificare un processo di modifica complessivo e competente, si ritiene che Google , e qualsiasi compagnia simile, operante su suolo europeo, sia la figura più adatta per difendere quello che da oggi viene definito come diritto dei cittadini all’oblio.

Da Lussemburgo però ammettono anche che è necessario riuscire a trovare un giusto equilibrio tra i diritti degli utenti in gioco. Infatti, tanto per fare un singolo esempio, rimuovere delle informazioni da dei link pubblicati da alcuni utenti, come nel caso del signor Gonzalez, potrebbe influire in maniera negativa sul servizio offerto agli altri utenti. Tali informazioni ad esempio, e di certo non è questo il caso di Gonzalez, potrebbero essere fondamentali per una giusta diffusione delle informazioni, che potrebbe, in caso differente, risultare monca. Si apre così una nuova branca di questa intricata vicenda, passando conseguentemente ad analizzare la natura dell’informazione in particolare. Occorrerà dunque valutare approfonditamente se i dati di cui è richiesta la cancellazione siano sensibili o meno, e dunque appartenenti a una categoria delicata per il singolo cittadino. Quello di Gonzalez invece è un caso particolare, dal momento che la richiesta giunge dopo molto tempo dalla pubblicazione. In quest caso dunque non è più rilevante la presenza dei suoi dati sensibili su quelle pagine. Il problema però sorge quando una richiesta di cancellazione identica avviene poco dopo la pubblicazione dei dati stessi. in tal senso occorrerà valutare di volta in volta se le informazioni diffuse sul web siano di fondamentale importanza per l’utenza web.

Da oggi dunque è possibile inviare le proprie richieste di cancellazione alle autorità competenti della propria nazionale, o magari spedendo una mail direttamente alla compagnia di Mountain View, che di certo non affronterà la vicenda in maniera gioiosa, avendo espresso tutto il proprio malcontento attraverso il proprio presidente Eric Schmidt. Egli infatti aveva ben compreso la mole di domande che sarebbero giunte e, spaventato dall’immane lavoro ma soprattutto dalle infinite conseguenze legali, avrebbe desiderato che la Corte di Giustizia si fosse espressa in maniera decisamente diversa. La vera difficoltà però risiede nel fatto che la materia risulta ancora fin troppo ostica per poter essere affrontata con semplicità. Dunque ogni singolo caso sarà fronteggiato come singolo, il che comporterà spese e responsabilità che Google non avrebbe mai chiesto.

Ad ogni modo, essendo questo il futuro della compagnia, che non ha speranze di riuscire a ribaltare la sentenza, si è già al lavoro per poter realizzare in tempi minimi uno strumento in grado di velocizzare questa lunga e complessa procedura. Questo tool dovrebbe offrire agli utenti una possibilità di richiesta immediata di cancellazione alla compagnia, indicando semplicemente motivazione e link indesiderato.

Intanto le prime richieste non si sono fatte attendere, anzi tutt’altro, e tra le tante ne spiccano alcune davvero interessanti. Una da esempi vede protagonista un ex politico, attualmente impegnato in una campagna elettorale, che ha chiesto la cancellazione dei link facenti riferimento a un articolo che criticava la sua condotta. In tal caso ad esempio non si parla, come nel caso di Gonzalez, di informazioni inutili, anzi tutt’altro, essendo questa una vera e propria richiesta di censura. Stesse richieste sono giunte da un uomo condannato perché trovato in possesso di materiale pedopornografico, il quale è convinto del fatto che la pubblicazione di articoli che facciano riferimento a e lui e al processo che lo ha reputato colpevole siano oggi di scarsa rilevanza pubblica, e per questo rimovibili. Infine un altro esempio importante per capire la varietà di domande giunte a Google, è quello di un medico, il quale reputa diffamatorie e lesive per la propria persona e professione le recensioni negative che alcuni suoi pazienti hanno pubblicato in rete. In tal caso però si andrebbe a ledere la libertà d’espressione del singolo individuo. Sarebbe un po’ come se, volevo analizzare la vicenda da un punto di vista molto più semplicistico.

Com’era prevedibile la particolare e innovativa sentenza ha prodotto consensi e proteste. Queste ultime non soltanto da parte di Google. A congratularsi con la Corte di Giustizia è stato in primis Vivane Reding, ovvero il Commissario per la giustizia europea. A porsi in maniera nettamente contraria sono stati invece svariati gruppi di attivisti che operano nel campo della tutela dei diritti dei cittadini. Secondo loro infatti lasciare tanta libertà d’azione a Google, consentendo inoltre a chiunque di gestire attraverso richieste ufficiali le pubblicazioni in rete, potrebbe col tempo ledere al diritto d’espressione dei cittadini. Reding invece considera il tutto come una schiacciante vittoria, dal momento che troppo spesso la rete pubblica informazioni, video o altro che dovrebbero restare privati. Un chiaro esempio in tal senso è quello dei video girati in camera da letto tra partner, che in molti casi vanno ad affollare il palinsesto di siti web pornografici senza l’autorizzazione di entrambi i componenti della coppia, una volta che questa ha deciso di separarsi. Ecco il suo commento: “Questa è una netta vittoria per la protezione dei dati personali dei cittadini europei. Il primo passo per sospingere l’Europa dall’età della pietra digitale verso la modernità”.